Questa domanda mi viene posta in Coaching spesso e volentieri: “Non mi piace quello che sto facendo, mi sento in gabbia, o sprecata, ma non so che strada prendere. Non ho le idee chiare, non c’è nessuna professione che vorrei fare, brancolo letteralmente nel buio. Come faccio a sapere che strada prendere?”
A volte mi sono ritrovata a pensare “sarebbe bello poter avere una risposta univoca per tutti a questa domanda, una formula magica che funzioni in ogni situazione, ma non è così”.
E, diciamocelo, forse non sarebbe neanche così bello, sarebbe noioso, scontato, robotico. La nostra bellezza come esseri umani si nasconde nelle sfumature e complessità, nei percorsi tortuosi che la vita ci porta a fare per arrivare da A a B.
Vedo spesso sui social colleghi che fanno promesse che so già che non potranno mantenere: “in 3 incontri scopri il lavoro giusto per te” o “raggiungi il successo facilmente”. Probabilmente con qualcuno funziona, ma sono persone che avrebbero fatto un percorso simile anche da soli, o che avevano già le idee abbastanza chiare, avevano solo bisogno di riorganizzare i pensieri.
Invece la confusione richiede un ascolto più attento e un lavoro più impegnativo a volte, ma di sicura soddisfazione. Impegnativo non perché duri anni, di solito non dura più di 10 incontri, ma perché richiede dedizione, pazienza e fiducia: a volte la confusione deve addirittura aumentare prima di arrivare ad una risposta.
Molto spesso ci aspettiamo di ascoltare un consiglio giusto, una ricetta miracolosa che ci dirà come cambiare il nostro destino. Ecco, in questo articolo vi svelerò come funzionano davvero le cose e quali sono i falsi miti che circolano su come trovare il lavoro giusto per te:
- Il lavoro della vita non esiste. Una frase che ripeto spesso in consulenza è “non siamo dei monoliti sempre uguali a noi stessi, siamo ricchi di sfaccettature e contraddizioni.” Pensare di scegliere a vent’anni o trenta un lavoro e di continuare a farlo finché pensione non ci separi, è inesatto.
Certo, ad alcuni capita. Come ad alcuni capita di fidanzarsi a 18 anni e restare insieme alla stessa persona per tutta la vita. Sono casi, non è la regola. E anche queste persone vedono evolvere la loro professione nel corso degli anni: magari volevano fare i medici e prima lavorano in pronto soccorso, poi si stancano e ricercano situazioni di maggiore stabilità e quindi passano al lavoro in reparto (che è come cambiare lavoro per un medico!) e magari verso la fine della propria carriera decidono di insegnare o di aprire uno studio privato per poter avere più tempo a disposizione o decidere in autonomia come organizzarsi la vita.
Sembra lo stesso lavoro ma non lo è: la quotidianità cambia profondamente in ognuna di queste situazioni, chiedetelo ai vostri amici medici. Per questo motivo non serve caricare di aspettative la scelta di un percorso di studi o di una carriera lavorativa: è necessario decidere ascoltando le nostre aspirazioni del presente, sapendo che potrebbero cambiare e che non c’è niente di male in questo.
Le persone più interessanti che conosco hanno cambiato risposta alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” molte volte durante il corso della propria vita, anche quando gli altri le consideravano grandi da un bel po’ di tempo. La vita è un flusso e finché continua a scorrere in noi possiamo sempre cambiare idea.
Con questa leggerezza nel cuore, cosa vorresti fare adesso?
- Non è questione di aggiungere, ma di togliere. Ognuno di noi ha un talento, delle risorse, dei gusti e delle competenze che lo rendono unico. A volte non sono immediatamente collegabili tra di loro, o non ci accorgiamo di averli; ma sono lì, sotto la scorza, pronti ad essere notati e condivisi con il mondo.
Quando siamo confusi, sotto sotto desideriamo che qualcuno ci salvi da quella frustrazione (perché, lo sappiamo bene, la frustrazione è molto peggio della certezza, anche se quest’ultima fosse legata a qualcosa di negativo per noi): imbattersi in una persona saggia, o che ci conosce da una vita o molto competente, che ci dica: “ma è ovvio, tu sei nato/a per fare questo”.
La realtà è molto più semplice e autonoma di così: anche io che di lavoro aiuto le persone a trovare queste risposte, non dò mai e poi mai consigli. E non perché non mi vengano in mente idee quando incontro qualcuno, ma perché non è assolutamente necessario.
Siamo molto più potenti di quello che pensiamo di essere e le risposte sono già lì, dentro di noi. Sono solo nascoste dietro cumuli di “questo non si può fare”, “nessuno vive di questa attività al giorno d’oggi”, “e comunque io non posso farlo”, “chissà quante cose dovrò imparare per riuscirci”…
Il segreto di un buon lavoro di Coaching è proprio quello di togliere il superfluo, i condizionamenti ricevuti, le credenze disfunzionali che ognuno ha su se stesso e su come va il mondo. Una volta creato uno spazio più libero, un luogo interiore di non giudizio, chiunque è in grado di scoprirsi da solo, di sentire cosa vorrebbe davvero fare. E quello è il momento in cui si inizia a programmare e costruire. Ma il vero lavoro è togliere, per lasciar emergere ciò che vive già dentro di te.
Quali sono le credenze riguardo a te stesso e al lavoro che ti stanno bloccando?
- Avere una passione non è indispensabile per scegliere un lavoro appagante e che ti renda felice. Non sono mai stata d’accordo con la citazione di Confucio che ormai circola ovunque: “Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. Certamente è vero che amare la propria professione, rende il lavoro quotidiano piacevole, appassionante e motivante.
Ma allo stesso tempo, ogni professione è composta da più attività e non tutte hanno a che fare con la propria passione. Nel mio caso, ad esempio, oltre alle consulenze e ai corsi in aula, mi occupo del marketing (che a volte mi diverte, ma è molto molto impegnativo da seguire e non l’avrei scelto come attività), della vendita e dell’amministrazione. E questi aspetti di certo non mi appassionano.
Inoltre, da bambina avevo la passione della lettura e della scrittura, aiutare gli altri non era il mio primo pensiero. La mia professione è cresciuta con me, durante il corso della mia vita, modellata su tante scelte fatte sul momento perché le sentivo buone per me, ma non immaginavo dove mi avrebbero portata quando le ho fatte.
La verità quindi è che non ho trasformato la mia più grande passione nel mio lavoro, direi che è stata la seconda in classifica ad avere la meglio. Ora sto lavorando anche sul primo punto, perché sto scrivendo un libro che conto di terminare entro fine anno, ma non è con questo obiettivo che mi sono mossa in tutti questi anni.
Ed è per questo che funziono nel mio lavoro. Perché le passioni sono spesso legate all’estro del momento, alla libertà di emergere quando proviamo una emozione o viviamo certe esperienze; mentre il lavoro ha bisogno di continuità, scadenze, programmazione. E non sempre le due cose vanno di pari passo. Con il tempo la passione può affievolirsi se imbrigliata dai binari delle regole del lavoro.
Un lavoro appagante è composto di altri ingredienti: la possibilità di esprimere noi stessi, l’opportunità di crescere e migliorarci, la varietà, la sensazione di avere le competenze e le risorse per eseguire i compiti che il lavoro richiede e provare piacere nel farlo.
Non è detto che debba essere la cosa che più ci piace fare nella vita perché ne valga la pena.
Quali sono le tue competenze? Le cose che sai fare bene e che ti riescono bene?
Spero che questo articolo ti abbia aiutato a fare un po’ di chiarezza, se hai domande o vuoi raccontarmi la tua esperienza lasciami un commento, non vedo l’ora di conoscere la tua storia e sarò lieta di risponderti!